Contro la detassazione degli straordinari Stampa

Il governo dopo il privato applicherà il provvedimento agli statali, compresa la sanità, con la complicità sindacale

Nonostante sembri mettere tutti d'accordo, il provvedimento ha evidenti conseguenze negative. Svantaggia i lavoratori più deboli che fanno comunque meno straordinari e che avranno più difficoltà a trovare un lavoro. A guadagnarci saranno soprattutto le imprese, che riusciranno per questa via a ottenere un abbassamento del costo del lavoro e una maggiore flessibilità di utilizzo della manodopera. Se si vuole rendere più competitivo il nostro paese intervenendo sul costo del lavoro, si può farlo in modi diversi e più efficaci. Per esempio, abbassando le tasse sul lavoro.

Una delle promesse con cui Silvio Berlusconi ha vinto le elezioni è quella di detassare gli straordinari. Confindustria tiene molto alla proposta e anche i sindacati sembrano interessati, dal momento che i primi a esserne beneficiati dovrebbero essere proprio i lavoratori, anche i sindacati sembrano interessati. Il Sole 24 Ore cita, per esempio, il caso dell’operaio metalmeccanico che guadagna 1.300 euro lordi al mese e che potrebbe guadagnare fino a 580 euro in più se svolgesse tutte le 250 ore di straordinario previste dal contratto, che arriverebbero a 610 euro se si considerasse anche il risparmio sulle addizionali comunali e regionali all’Irpef.

Perché è sbagliato

Eppure, le conseguenze negative di un tale provvedimento dovrebbero essere evidenti a chiunque mastichi un po’ di economia.

I punti principali per cui la detassazione degli straordinari è sbagliata sono diversi: (1) la misura introduce una distorsione nel funzionamento del mercato; (2) tale distorsione penalizza i lavoratori più deboli e avvantaggia invece quelli più forti, riducendo la progressività del sistema fiscale; (3) in ultima analisi a guadagnarci sarebbero soprattutto le imprese, che riuscirebbero per questa via a ottenere non solo un abbassamento del costo del lavoro, ma anche una maggiore flessibilità di utilizzo della manodopera (4) ciò configurerebbe l’ennesimo esempio di riforma “al margine”, ovvero una riforma che invece di rimediare a eccessi e distorsioni della normativa, trova scappatoie che introducono nuove distorsioni e nuovi problemi; (5) la riforma sembra ispirata da una visione ideologica della società e del ruolo dei cittadini, in cui “lavorare è bene e lavorare di più è meglio”, a prescindere da una seria analisi che evidenzierebbe al contrario come i workaholics andrebbero invece disincentivati, se si guarda al benessere della società. Questo a prescindere dai costi per l'erario che non sono indifferenti (1).

I primi due punti sono i più ovvi: privilegiare il trattamento fiscale degli straordinari ne favorisce il ricorso. Ma gli straordinari sono appannaggio quasi esclusivo dei lavoratori più “forti”: maschi, più qualificati, giovani o comunque non anziani. La misura non favorirebbe dunque se non marginalmente i lavoratori “deboli”, proprio quando il grosso problema del mercato del lavoro italiano continua a essere costituito dai bassi tassi di occupazione di donne, anziani, eccetera. A titolo di esempio, ricordiamo che i tassi di occupazione femminile in Italia sono i più bassi d’Europa (a 25 paesi), con l’eccezione di Malta, e che più di una donna su due in età di lavoro sta a casa. Inoltre, il vantaggio fiscale è crescente con il crescere delle aliquote che verrebbero “risparmiate”, e quindi con il reddito dei lavoratori, il che riduce la progressività. Ad esempio, un lavoratore con aliquota marginale del 23 pe cento “porta a casa” per ogni ora di straordinario un salario netto maggiorato del 29,9 per cento grazie all’esenzione; aliquote superiori (rispettivamente: 33, 39 e 43 per cento) si accompagnano a benefici significativamente superiori (rispettivamente: 49,3, 63,9 e 75,4 per cento del salario netto).

Tuttavia, se è vero che il lavoratore risparmia l’Irpef, è pur vero che l’impresa paga un costo del lavoro superiore: in generale infatti il lavoro straordinario è pagato di più - il 50 per cento di più nei giorni lavorativi (al di fuori del normale orario di lavoro), e addirittura il doppio nei weekend e nei giorni festivi. (2) Fatta 100 la retribuzione lorda di un operaio di una grande industria, il costo del lavoro ordinario per l’impresa è pari a 132, mentre quello del lavoro straordinario, con retribuzione lorda incrementata a 150, è pari a 198. Dove sono dunque i vantaggi per le imprese? Ci sono, certo che ci sono. E provengono da due fonti. Per prima ll’impresa può appropriarsi di una parte almeno dei vantaggi derivanti dall’esenzione, lasciando quindi i lavoratori indifferenti rispetto alla proposta di riforma, potrebbe pagare lo straordinario come un’ora di lavoro normale già a partire dallo scaglione del 33 per cento, e realizzerebbe uno sgravio nel costo del lavoro a partire dagli scaglioni successivi.

Ma soprattutto il ricorso al lavoro straordinario è flessibile per definizione, e può essere aumentato o diminuito a piacere senza incorrere in alcun tipo di sanzione o conflitto. In altri termini, prima di assumere una nuova persona l’impresa può prendere in considerazione l’ipotesi di chiedere lo straordinario ai suoi dipendenti. Il maggior costo del lavoro straordinario, nonché la riluttanza dei dipendenti a fornire lavoro straordinario oltre una certa misura, determina la soglia oltre la quale il gioco non è più possibile, e l’impresa decide di assumere. La detassazione degli straordinari modifica gli incenti di impresa e lavoratori nella direzione di favorire la sostituzione di lavoro " normale" con lavoro straordinario: in altre parole un trade-off tra ore di lavoro per dipendente e numero di dipendenti. Non solo dunque i lavoratori più deboli risultano svantaggiati perché fanno meno straordinari, ma anche perché hanno più difficoltà a trovare un lavoro (a parità di domanda): lavorare di più, lavorare in meno. Il passo successivo sarà allora quello di contrattare un orario di lavoro “ordinario” più breve, con una retribuzione di base inferiore, in modo da poter incrementare ulteriormente il ricorso al lavoro straordinario, e flessibile. Ci guadagneranno le imprese e i lavoratori “forti”, a prezzo però di una forte riduzione del tempo libero, ci perderanno i lavoratori “deboli”. (3)

Il precedente francese

Esiste un precedente, che sicuramente sarà ben presente a Berlusconi: la detassazione degli straordinari realizzata da Nicolas Sarkozy. Eppure, molti commentatori (4)  sono critici rispetto a questa misura, valutandola positivamente solo in quanto permette di superare il limite delle 35 ore settimanali, che in Francia è diventato un baluardo dei sindacati difficilmente attaccabile

Ma ha senso contrapporre al mito della settimana corta quello di Stakanov?

È vero che in Italia le settimane lavorative sono più corte che altrove: la media è di 37 ore, più bassa per esempio di quella degli Stati Uniti (38,8). Ma il numero di ore lavorate è comunque più alto che in molti paesi europei, come Germania (34,5), Francia (36,2) e Gran Bretagna (36,4).

Come si evince dai dati OCSE il problema non è tanto lavorare di più, quanto fare in modo che più persone lavorino.

 

 

(1) Si veda l’articolo di Baldini e Leonardi sulla rivista online www.nelmerito.com

(2) In Francia, a titolo di esempio, la maggiorazione è più contenuta: + 25 per cento.

(3) Esiste certo la possibilità che l’utilizzo più massiccio del “nocciolo duro” di lavoratori più qualificati e volenterosi accresca la redditività dell’impresa al punto che vengano aperti nuovi posti di lavoro. Ma l’effetto dello straordinario sulla produttività (media) è quantomeno incerto, come chiunque rimanga seduto per ore a una scrivania sa benissimo.

(4) Si veda l’articolo di Charles Wyplosz del 5 giugno 2007 sul sito www.telos-EU.com