Ambiente: carbone o nucleare, cosa ci farà più male? Stampa
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La storia recente ci ricorda come l’atteggiamento del nostro Legislatore sia quello di non occuparsi in modo preventivo dei rischi connessi al rapporto uomo-ambiente (e non solo) prima che degli eventi dannosi non si siano già verificati. Pensiamo ad esempio all’istituzione del nostro primo Ministero dell’Ambiente (con portafoglio) avvenuta in seguito al disastroso evento di Chernobyl o al primo Testo Unico della sicurezza sul lavoro approvato dopo il rogo della Thyssenkrupp.


Se poi l’ambito d’intervento preventivo è la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, il binomio danno - intervento legislativo - è destinato a modificarsi. Perché, per taluni governi, il danno (quello vero) sarebbe solo conseguenza di previsioni pessimistiche, e l’incisività degli interventi dovrebbe quindi essere opportunamente diluita ed edulcorata in nome di un sistema economico che mai come adesso ci mostra le proprie debolezze.

La paura di gravi ricadute sul sistema industriale italiano ha ispirato il nostro attuale Governo (tramite il Ministro per le Politiche Europee Andrea Ronchi) a contestare il piano 20-20-20 dell’Unione Europea (abbattimento del 20% delle emissioni di gas-serra entro il 2020; riduzione del 20% dei consumi energetici ed incremento del 20% dell’utilizzo di energia da fonti rinnovabili).

Non solo. Il Ministro Scajola, nella relazione presentata il 19 novembre 2008 al CNEL, ha ravvisato che "[...] in questo contesto, l’Italia si trova in una situazione più difficile di altri Paesi europei a causa di tre fattori:
-  l’elevata dipendenza dalle importazioni di energia, oggi pari all’85% e destinate a raggiungere il 95% nel 2020 se non saranno adottate misure correttive;
-  la maggiore incidenza del trasporto su strada, frutto delle annose carenze infrastrutturali del nostro Paese;
-  gli squilibri del mix di generazione elettrica, caratterizzato dall’impiego prevalente del gas naturale, dalla totale assenza del nucleare, dal modesto ricorso al carbone e da una quota di rinnovabili in flessione. Negli altri Paesi europei il mix è radicalmente diverso: carbone, nucleare e rinnovabili costituiscono le fonti prevalenti di generazione, con evidenti vantaggi in termini di sicurezza degli approvvigionamenti, indipendenza dall’estero, tutela dell’ambiente, costi dell’elettricità, con prezzi inferiori del 30% rispetto ai nostri.[...]"

Ecco. Cosa effettivamente intenda dire quando parla di tutela dell’ambiente in riferimento a fonti di approvvigionamento energetico come il carbone ed il nucleare rimane un mistero. Tralasciando per il momento le criticità legate all’uso dell’atomo, pensando al carbone, non possiamo assolutamente ritenere che si tratti di un combustibile pulito. Possiamo dire che è economico, che non si presta a cartelli di fornitura, ma non di certo che sia un elemento di maggior tutela dell’ambiente.

Bruciando carbone, a parità di unità di energia prodotta, si ha un rilascio in atmosfera quattro volte più elevato di anidride carbonica rispetto all’uso del metano. Tale super-produzione di CO2 viene emessa integralmente in atmosfera, senza possibilità (allo stato di sviluppo tecnologico attuale) di poter essere “sequestrata” dai fumi. Per la mitigazione dell’impatto ambientale del carbone, occorre anche adottare idonee tecnologie per il trasporto, lo scarico, lo stoccaggio e la relativa movimentazione. Per questo, al momento, il metano (rispetto agli altri combustibili di origine fossile) viene definito "pulito".

Indubbiamente il gas sta divenendo critico per quanto attiene gli approvvigionamenti ed il crescente costo (che a quanto pare per l’Italia è il più elevato), ma necessita comunque di minori spese nel trattamento degli effluenti gassosi e soprattutto, in un paese dove le rinnovabili non riescono a decollare, comporta una minor produzione di CO2.

Si pensi, ad esempio, che un gran numero di fonderie ha convertito i propri vecchi forni fusori “a cubilotto” nella quale si bruciava coke, con forni elettrici, di minor versatilità produttiva ma con esternalità ambientali di ordini di grandezza inferiori, dimostrando comunque come sia possibile rinunciare ai benefici economici del combustibile solido.

Nel frattempo, il gruppo Enel che gestisce trentadue centrali termoelettriche, tramite l’intervento al 2° Meeting Europeo IPPC di Torino del proprio Responsabile Grandi Progetti Infrastrutturali Ing. Fano, ha più volte richiamato l’attenzione sulle difficoltà incontrate nel fare piani di miglioramento ambientale e nel capire quali fossero gli obiettivi principali (riduzione delle emissioni in aria, in acqua) del Ministero dell’Ambiente, durante (fra l’altro) le fasi di progettazione ed autorizzazione della riconversione di centrali ad olio combustibile in centrali a carbone.

Quindi da un lato il Ministro Scajola ritiene l’uso del carbone una tecnologia idonea alla tutela dell’ambiente, dall’altro il Ministero dell’Ambiente parrebbe latitare anche nei confronti del principale gruppo energetico italiano, non addivenendo ad una pianificazione globale delle prestazioni ambientali dei grandi impianti di combustione. Bisogna infatti ricordare che la mancanza di “indirizzi globali” (e non solo, anche delle Linee Guida italiane in tema di Autorizzazione Integrata Ambientale) impedisce in concreto una corretta pianificazione a livello nazionale delle politiche da attuare per la scelta delle fonti energetiche e delle migliori tecnologie disponibili per il trattamento di eventuali emissioni.

Continua l’lng. Fano richiamando la mancanza di protagonismo dell’Italia nel contesto Europeo, in quanto il sistema termoelettrico italiano, già dal 1990 e fino al 2002, avrebbe portato avanti un piano di trasformazione delle centrali con aumento di efficienza e riduzione delle emissioni di anidride solforosa ed ossidi di azoto superiori a qualsiasi altro paese europeo. Il timore per il futuro, secondo Fano, sarebbe proprio quello di andare a pagare un elevato tributo economico, se si tiene conto che la nostra energia elettrica costerebbe dal 38 al 45% in più rispetto agli altri paesi UE, in quanto in sede europea non sarebbero stati riconosciuti gli sforzi già fatti dall’apparato industriale italiano.

Il nostro sistema industriale (ed energetico) quindi, dopo essere divenuto leader nella produzione delle turbine a gas ad alto rendimento (ed essersi dotato di un discreto numero di impianti a ciclo combinato a gas) ora ritiene di aver “guadagnato” dagli anni ’80 ad oggi un diritto a ri-emettere tutta la CO2 che avrebbe risparmiato all’atmosfera nel corso degli ultimi 25 anni. Una sorta di acquisizione di “quote di peggioramento” che, secondo il nostro Governo, dovrebbero scandalosamente consentirci di continuare ad inquinare come prima (perché prima saremmo stati troppo bravi ma abbiamo speso troppo) intervenendo proprio sulla modifica di alcuni dei parametri sostanziali di computo degli obiettivi energetici stabiliti nelle Direttive Europee del 20-20-20 .

In realtà, la volontà potrebbe essere quella di continuare a risparmiare grazie all’uso di combustibili meno costosi (carbone) al fine di reinvestire, non tanto sulle rinnovabili, quanto per il finanziamento del nucleare, che potrebbe arrivare (se malauguratamente dovesse ripartire il piano) entro il 2022. Solo la Gabanelli ci ha ricordato che la nostra bolletta energetica è fra le più care in Europa anche grazie alle onerose spese per il mantenimento della nostra “eredità radioattiva” nazionale.

 

Michele Diciolla

Redazione periodico Lavoro e Salute