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Il decreto correttivo del governo al testo unico sulla sicurezza sul lavoro, in sostanza dice che applicare le norme di sicurezza, non sarà più responsabilità dei datori di lavoro. Dobbiamo pensarci noi lavoratori. PDF Stampa E-mail

Il testo unico su salute e sicurezza era stato previsto dalla riforma sanitaria del 1978 e ha visto la luce trent'anni dopo nel 2008 solo grazie alla grande sensibilità creatasi in seguito a gravi tragedie sul lavoro che hanno scosso la pubblica opinione. I risultati dalla sua approvazione ad oggi sono stati incoraggianti: almeno 200 morti in media l'anno in meno rispetto al 2006, anno d'inizio del processo legislativo con la legge delega 123/2007.

 

Il governo non ha usato l'ultimo anno per emanare i provvedimenti attuativi previsti né ha utilizzato i nuovi straordinari poteri di indirizzo e di coordinamento in capo al ministero e agli enti da esso vigilati (Inail e Ispesl) nè ha sollecitato gli accordi aziendali necessari a intervenire in maniera più mirata sui rischi specifici delle diverse attività lavorative, come si fece per i principali Porti, per Fincantieri, Ilva di Taranto (dove in un anno si sono dimezzati gli infortuni) e Thyssen di Terni. Perché non si è perseguita l'intesa sulla sicurezza nelle Ferrovie di cui si erano poste le premesse nella precedente legislatura e non si è portato avanti il confronto, anch'esso allora avviato, su rischi del lavoro nelle Autostrade? Forse stragi come quelle di Viareggio si sarebbero evitate.

Ha invece prodotto delle modifiche al Testo unico dalle quali emerge la volontà di agire in favore dei padroni e a danno dei lavoratori. La stessa, tanto strombazzata patente a punti per le aziende, non è più che un auspicio mentre la già prevista adozione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi per la partecipazione alle gare della Pubblica Amministrazione e per l'accesso ai finanziamenti pubblici viene declassata da vincolante a preferenziale.

L'intervento certamente più grave riguarda quella che fino ad oggi era una certezza che discendeva dalla direttiva europea: il responsabile della applicazione delle norme sulla sicurezza era, in ogni caso, il datore di lavoro o il suo delegato. Il decreto Sacconi introduce la possibilità che ci siano casi in cui essa possa ricadere in via esclusiva sui lavoratori, sui progettisti, ecc… Non è difficile immaginare cosa produrrà una norma come questa sull'accertamento delle responsabilità in una attività viva e certo non proceduralizzata come il lavoro. Ma peggio ancora, che conseguenze avrà nell'organizzazione del lavoro di tutti i giorni quando il datore di lavoro potrà ritenere di avere esaurito le sue responsabilità con atti formali come circolari, cartelli, e mera fornitura di strumenti di protezione. Se le circolari non verranno applicate, se il casco non verrà indossato, la responsabilità non sarà certo sua ma magari del lavoratore. Ecco avverarsi il sogno dei padroni: sanzionare chi perde un dito, un braccio ecc… o, analogamente, rivalersi sui familiari dei superstiti.

Io credo che questa norma devastante, non sia legale per due ragioni: la prima perché difforme dalla direttiva europea; la seconda, credo ancor più rilevante, è che contrasta anche con il codice penale, norma gerarchicamente superiore, che regola il concorso di colpa e che non ammette l'esclusione di responsabilità da parte di chi, come il datore di lavoro, ha l'obbligo di vigilare e detiene il potere di sanzionare chi non le rispettasse.

Secondo punto negativo del decreto correttivo è che esso vanifica una seria sorveglianza sanitaria. Ricordate l'amianto? Muoiono più persone per i tumori e le malattie contratte nei luoghi di lavoro che per gli incidenti che vi avvengono. Cosa fa Sacconi? Il libretto sanitario che doveva essere inviato all'Ispesl resterà chiuso in un armadio sotto responsabilità del datore di lavoro che lo conserverà per 10 anni e poi potrà distruggerlo. Come se non si sapesse che i tumori per svilupparsi ci mettono anche di più e non si sviluppano in età giovanile. Sarà impossibile una effettiva ricostruzione storica e soprattutto una osservazione scientifica sulle conseguenze delle esposizioni a fattori di rischio: indispensabile per una politica di prevenzione. Secondo intervento: rinvia, subordinandola a nuovi atti, non necessari, del ministro, l'obbligo dell'invio dai parte dei medici del lavoro al Servizio Sanitario Nazionale dei dati aggregati dei rischi e dei lavoratori esposti. Dati indispensabili per le Asl per attuare un monitoraggio territoriale, conoscere l'origine delle insorgenze e soprattutto per pianificare una attività di prevenzione e di interventi mirati che non siano generici e formali.

Quantità e qualità di rumori, polveri, agenti chimici ecc… possono essere monitorati fuori dai cancelli in quanto diritti dei cittadini che non sono più tali una volta varcati questi cancelli.

Con la collaudata tecnica del rinvio a successivi atti non viene compresa nella valutazione dei rischi quella derivante da stress da lavoro correlato e l'obbligo delle aziende di comunicare gli infortuni che comportano assenze superiori a un giorno.

Il documento di valutazione dei rischi (dvr), che rappresenta la sintesi della valutazione degli interventi e delle indicazioni specifiche per i diversi luoghi di lavoro, viene elaborato in collaborazione tra datore, preposto alla sicurezza e medico competente e consegnato agli rls per conoscenza e per le eventuali valutazioni. Con il decreto questo atto fondamentale verrà redatto solo dal datore e sottoscritto da preposto e medico ai soli fini della certificazione della data e può essere registrato su supporto informatico (chissà con quali garanzie che non possa essere modificato alla bisogna). Ma, soprattutto, questo documento può essere visionato dall'rls solo all'interno del luogo di lavoro, magari su un computer. Ora, anche i sassi sono a conoscenza che gli infortuni avvengono quasi esclusivamente nelle lavorazioni manuali, effettuate da operai e non da ingegneri, che avvengono nelle piccole aziende e in settori dove è in crescita la presenza di immigrati che non hanno conoscenza adeguata né della lingua né tantomeno delle leggi; il senso dell'intervento di Sacconi è chiaro: il padrone può servirsi di chi gli pare per redarre il documento, anche di professionisti che ne sfornano in serie e a prescindere dalla specificità del luogo di lavoro, il lavoratore no, non può mostrarlo a dei tecnici competenti.

Che dire poi della previsione che il documento di valutazione dei rischi, in caso di mutamenti nell'organizzazione della produzione deve essere tempestivamente (?) adeguato entro trenta giorni? Forse il ministro ignora che le probabilità di infortunio aumentano nei cicli lavorativi che mutano spesso, e che la sicurezza dovrebbe essere considerata già nella fase della progettazione? Analogamente che dire della previsione per la quale prima si manda in funzione una nuova impresa e poi si hanno 90 giorni di tempo per il documento di valutazione dei rischi (dvr)?

Come dicevo sopra gli appalti sono un settore critico nella sicurezza, perché si ricorre a loro per ridurre i costi e spesso i piccoli imprenditori risparmiano anche sulla sicurezza. Due gli interventi principali del testo unico: responsabilità del committente anche con elaborazione di un documento di valutazione dei rischi da interferenza, messa in evidenza nei capitolati dei costi della sicurezza e divieto nelle gare di operare col massimo ribasso. Sacconi riduce l'area su cui è necessario il duvri (documento valutazioni rischi da interferenza) escludendo il territorio non luogo giuridico dell'azienda (?), le forniture di materiali e attrezzature e le aziende che operino per meno di due giorni. Sono tutte fattispecie ad alto rischio infortunistico. Pensiamo alle operazioni di carico e scarico, anche nei porti, e ai lavoratori che svolgono attività di manutenzione che proprio per la brevità del loro intervento conoscono superficialmente il luogo dove operano e sono più esposti ad alto rischio.

Il massimo poi lo si raggiunge quando si prevede che il massimo ribasso è vietato solo per i rischi da interferenza e non per i rischi specifici della azienda. Paese di Pulcinella o meglio, vista la Regione del ministro, di "Arlecchino servo di due padroni": lo Stato emana leggi che hanno dei costi e poi prevede che soggetti privati li possano ribassare! Ovviamente applicandole male e in parte.

Ultimo serio intervento quello sul rls territoriale dove si prevede che le aziende che aderiscono alla bilateralità possano non contribuire al fondo istituito proprio per permettere la nascita effettiva di questa figura indispensabile per rappresentare i lavoratori delle piccole aziende. Lo stesso fondo viene depotenziato privandolo di alcune risorse. Rilevante l'impatto di questa norma su uno dei settori più infortunistici quale l'edilizia.

Gli interventi sulle sanzioni sono tutti tesi a un loro depotenziamento e a ridurne la deterrenza. Una analisi puntuale richiederebbe troppo spazio. Mi limito ad un caso esemplare: un datore di lavoro che reitera violazioni per quantità elevate di lavoro irregolare, per violazioni continue di norme e contratti, può anche non ottemperare alla ingiunzione dell'ispettore di sospendere l'attività e può per questo non essere condannato a sei mesi di carcere, nonostante dimostri di fregarsene di tutto e di tutti, se paga una ammenda massima di 6.400 euro. Una inezia rispetto agli extra profitti che realizza. Se poi alle sue dipendenze c'è un solo lavoratore, reiteratamente trovato in condizioni irregolari, non rischia neanche la sospensione dell'attività.

 

Gian Paolo Patta

 

 

 
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